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ABSTRACT
Asino e padrone uniti nella stessa sorte
Anche la viceregina, donna Maria de Zuniga
Pimentel Herrera, protetta nel suo mondo dorato, sembrava non accorgersi
del dramma quotidiano che si consumava intorno a lei.
Preda di una ninfomania sfrenata, insoddisfatta
del marito poco amante delle donne e della potenza virile dei numerosi
amanti, si dava a frequentare le scuderie, dove leccitamento
erotico trovava il suo appagamento con la collaborazione attiva
del suo fido levriero e del suo stallone preferito. Ella si denudava,
si rotolava, tra le zampe del sauro, ne afferrava il poderoso arto
e in preda ad una istintività prepotente, ad una morbosa
esaltazione, lo accostava a se, si adagiava sopra un covone di fieno
invitando il cane a leccare la pozione mielosa cosparsa tra la spalancate
gambe. Le sue lunghe dita ormai in possesso del membro dello stallone,
gli imprimevano un ritmico movimento fin quando potenti getti perlacei
le inondavano il viso ed il corpo. Allora al culmine del suo godimento
con ripetuti colpi di reni costringeva il cane a penetrarla con
il suo muso appuntito. Ora quella deliziosa figura di donna, fiammeggiante
di selvaggia bellezza e vibrante di mostruosa zoofila cupidigia,
esalava affannosi respiri, ebbra di un disumano piacere .
Viveva a corte un tale Pietro Folignano, un musico
eunuco, che allietava le giornate del conte di Benavente. Avendo
questi saputo delle abitudini di donna Maria, si divertiva a spiarla
quando era intenta al suo svago preferito.
Un giorno del 1604, era il mese di maggio, come
di solito, si appostò dietro il portone della scuderia e
attraverso una fessura assisteva ai "bestiali trastulli"
della viceregina, appagando così, nellunico modo che
gli era consentito, le istintive pulsioni, in lui latenti allo stadio
più basso e primitivo.
Mentre era così assorto e fremente, sentì
il rumore di zoccoli sul selciato, si girò e vide che si
avvicinava in direzione di un covone di fieno, poco distante da
lui, un uomo e un asino. Folignano, ben accorto a non farsi scorgere,
osservò attentamente e riconobbe nelluomo Andrea del
Colle, un avvenente giovane apprezzato a corte per le sue doti di
valente cosetore (sarto). Egli era corteggiato da tutte le dame
sia per le sue doti fisiche, sia per labilità nel cucire
abiti. Leunuco odiava quelluomo. Egli rappresentava
tutto quello che lui avrebbe voluto e che la natura gli aveva negato.
La gelosia scoppiò violenta e dette sfogo ai suoi rancori
attuando un piano malvagio quanto crudele: riferì al suo
amico viceré di aver visto il cosetore, Andrea del Colle,
mentre consumava atti di libidine con un asino.
Subito il giovane fu tratto in arresto e condotto
in una segreta della Vicaria con laccusa di aver avuto commercio
carnale contro natura con un asino di sua proprietà, lasciando
il detto asino, una volta compiuto latto carnale, che brucasse
un fascio di foraggio verde riservato ai cavalli di Sua Eccellenza.
Il processo fu affidato al più severo giudice
della Gran Corte della Vicaria, don Diego Parescia, che sottopose
il povero giovane alle più atroci torture, fin quando, giunto
al limine dellumana sopportazione, Andrea confessò
il singolare peccato di sodomia mai commesso.
La sentenza di condanna fu subito emessa e il 5
giugno del 1604 egli fu condotto alla forca. Insieme con il suo
asino che, ignaro della sua sorte, lo seguiva docile come quel giorno
nei pressi delle scuderie.
Lo scrivano Palomba, della Confraternita dei Bianchi1
della giustizia, così annotò il 5 giugno 1604 levento:
"Sabato 2 i padri Bianchi della Giustizia presso la Gran Corte
della Vicaria hanno accompagnato in piazza Mercato un povero condannato,
di nome Andrea del Colle, di anni 22, cosetore (sarto), abitante
in Palazzo reale, per essere impiccato e bruciato assieme con il
suo asino".
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